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Cassin-Ratti – Torre Trieste
17 Settembre 2019
Rocca Pendice – Multipitch in Parete Est
3 Ottobre 2019
Nome Casarotto-Radin - Spiz di Lagunaz
Gruppo montuoso Pale di San Lucano
Data salita 21,22/09/2019
DifficoltàVI+/A1 oppure VII+
Sviluppo 750 m
Impegno globale ED
Esposizione prevalente Sud e Ovest
Tempo impiegato 3h + 11h + 6h
Punti d'appoggio Nessuno
InfoPDF Cai Milano, guida del Rabanser e Orme Verticali per il tracciato sullo zoccolo
Dentro il gran diedro

Dentro il gran diedro

<< Alla base di tutto, di ogni azione che l'uomo compie, dev'esserci sempre l'amore >> R. Casarotto

La prima cosa che ho ricercato quando ho iniziato ad andare in montagna è stato il selvaggio: più un luogo è distante dalla civiltà, più mi attrae. L’ignoto può essere terrificante ma è anche irresistibile allo stesso tempo e anche l’arrampicata non è altro che una continua ricerca dell’ignoto, tarata su una scala più piccola, quella della parete che ti si para di fronte al naso mentre sei lì, alla ricerca del costante movimento.
Ero stato in Valle di San Lucano solo una volta, rimanendo folgorato dalla sua sconcertante dimensione verticale che ti schiaccia con forza. Fin da subito avevo percepito l’odore di selvatico.
E il gran diedro Casarotto-Radin era lì, un obiettivo, un sogno.
Cagia è il compagno giusto e con noi si aggrega anche quella macchina da guerra che è il Capo. Le sensazioni sono buone anche se mentre sei lì che risali lo zoccolo boscato, più volte ti chiedi il perché di quello che stai facendo e la risposta prontamente non arriva perché sei troppo impegnato a non ammazzarti sui terzi gradi vegeto-minerali.
La via non perdona e i due tiri duri sono delle legne. Quando Cagia ci chiede di bloccarlo perché è in ghisa non ci crediamo, pare impossibile! Da secondo mi riesce la libera, con lo zainone, anche se arrivo in sosta totalmente finito. Sul secondo mi arrendo al tetto finale, troppo duro con lo zaino che mi risucchia verso il basso. Poi bivacchiamo in una nicchia dove il posto sarebbe per due persone e noi siamo in tre. Qui Cagia da il meglio di sé con il suo proverbiale pessimismo e così andiamo a dormire pensando a temporali, aerei perduti e chi più ne ha, più ne metta.
La mattina seguente mi sveglio bene col primo tiro sul giallo e mi rincuora sapere che anche il Mass, in occasione della sua prima ripetizione, ovviamente solitaria, si chiese come Renato fosse stato in grado di piantare il mitico chiodone su quella lavagna gialla. Adesso il chiodone non c’è più, è stato sostituito da un chiodo normale, ma mentre sono in sosta, un pensiero corre a Renato.
Renato Casarotto per me è l’Alpinista, quello con la “A” maiuscola. Riuscire ad aprire un capolavoro di logicità ed estetica, per giunta in un luogo remoto e pure spingendo l’arrampicata su difficoltà elevate, ne è la prova.
Ci alziamo ancora e finalmente appare l’immenso diedro, urlo ai compagni che lo vedo e che è asciutto! Un’energia infinita mi pervade, che gaso!
Conduco due tiri, poi lascio a Cagia l’onere di proseguire e lui se la sbriga tranquillamente, tiro dopo tiro. Capo parte sempre per secondo e corre come un treno distanziandomi per bene.
L’ultimo tiro, prima di uscire sulla grande cengia, è letteralmente sulle uova. Complimenti a Cagia che se lo spippa con agilità.
Alla grande cengia ci sleghiamo e proseguiamo veloci sulle rocce finali per ritrovarci poco dopo in cima, tutti e tre ancora con la calzamaglia addosso. Il sorriso stampato sul volto.
La discesa è eterna perché scendi tre volte e ne risali due.
Mi ritrovo in sosta con Capo a riflettere su che esperienza mistica stiamo vivendo. Forse la carenza di zuccheri al cervello ha contribuito al delirio ma credo che il sentimento fosse reale.
Quando arriviamo in forcella Gardes ci sediamo sull’erba e diamo fondo a tutto quello che ci è rimasto, poi ci incamminiamo verso il fondovalle che è ancora lontano, mossi dal desiderio di una maxi-pizza giù ad Agordo.
Quando dopo cena ci salutiamo non so neanche cosa dire, Capo mi suggerisce di non dire nulla che ci siamo capiti lo stesso. Anche Renato si era reso conto quanto fosse difficile tradurre col linguaggio convenzionale certe esperienze che ti portano così vicino all’essenza della vita.
Ero convinto che salire il diedro Casarotto-Radin fosse unicamente un punto di arrivo ma solo ora che scrivo capisco che si tratta soprattutto di un punto di partenza.
Ogni tanto mentre stai salendo ti giri e vedi l’Agner
Nei pressi dell’Hotel Massarotto lungo l’avvicinamento
Nei pressi dell’Hotel Massarotto lungo l’avvicinamento

Quasi all’attacco
Sui primi tiri facili
Sui primi tiri facili

Quarto tiro facile (IV)
Sotto al diedro del sesto tiro
In sosta del sesto tiro (IV+…stretto)

Bello il settimo tiro di V+ sostenuto in diedro giallo
Cagia sul primo tiro duro, una bella legna
Da secondo posso dare tutto e mi riesce la libera pur con lo zainone, bella soddisfazione

Cagia sul secondo tiro duro e anche bello bagnato
In vista della nicchia da bivacco dopo il secondo tiro duro

Morale sempre alto, soprattutto in vista del bivacco
… e poi appare il gran diedro

Sotto al primo tetto “squadrato” (p. VI+)
Un unico punto di fuga

Cagia sull’ultimo tiro. Tetto duro e poi sulle uova

In doppia dallo Spiz di Lagunaz
In doppia dalla Torre di Lagunaz
Sulla cresta che porta al Monte San Lucano e alla cengia erbosa da seguire a sx

Torre di Lagunaz in primo piano e Spiz in secondo (sembrano la stesso montagna)
La discesa dalla forcella Gardes

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Claudio
Claudio

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"Tutte le arti aspirano alla condizione della musica, che non è altro che forma. La musica, gli stati di felicità, la mitologia, i volti scolpiti dal tempo, certi crepuscoli e certi luoghi, vogliono dirci qualcosa, o qualcosa dissero che non avremmo dovuto perdere, o stanno per dire qualcosa; quest’ imminenza di una rivelazione, che non si produce, è, forse, il fatto estetico” J. L. Borges

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